Il primo passo verso questo sogno è arrivato la settimana scorsa con la pulizia totale dell’area esterna, che da anni era oggetto di segnalazioni dei residenti a causa della sporcizia che arrecava anche situazioni di pericolo agli abitanti di via del Romitorio.
Non solo rami pericolanti ed erba alta, la villa era frequentata da serpi e topi. Inoltre percorrere il viale e raggiungere l’edificio era praticamente impossibile per le condizioni in cui versava.
Da lunedì 22 fino a venerdì 26 settembre il comune di Mentna ha tolto sterpaglie, erba alta e sporcizia, grazie all’intervento gratuito della Protezione Civile e alla collaborazione della Gesepu che ha messo a disposizione alcuni strumenti e i mezzi scarrabili per portare via i rifiuti accumulati. L’intervento è stato reso possibile dal nulla osta della Soprintendenza e il Ministero dei beni Archeologici, con cui l’assessore Arianna Plebani ha iniziato a intrattenere i rapporti dallo scorso maggio. Dopo un sopralluogo a cui ha partecipato anche il sindaaco Lodi, a giugno è arrivato il nulla osta.
«Dobbiamo ringraziarli per la disponibilità e auspichiamo che in futuro questa struttura diventi fruibile per tutta la cittadinanza – spiega l’assessore Plebani – quest’area è ricca di storia e l’obiettivo è quello che la villa possa diventare un vero e proprio parco archeologico. Un altro ringraziamento va anche alla Protezione Civile, alla Gesepu e ai cittadini per la pazienza che hanno avuto in questi anni».
E proprio un gruppo di residenti era pronto a presentare un esposto in Procura per lo stato di degrado in cui versava la villa, che portava pericolo anche nelle loro abitazioni.
«Con la nevicata del 2011 mi sono ritrovato un ramo dentro casa che mi ha danneggiato la ringhiera – spiega il signor Paolo Tiberi, residente in via del Romitorio e confinante con la villa – da allora abbiamo fatto segnalazioni ed esposti, ma non ci ha mai preso nessuno in considerazione. Per fortuna il nuovo assessore si è subito attivato. Ora speriamo che l’impegno continui».
La Villa, che prende il nome dal deputato e sottosegretario Francesco Maria Dominedò è stata costruita intorno alla metà del Novecento sul luogo dove si trovava in origine la Chiesa del Buonconsiglio o di Santa Maria in Via, affidata a un Eremita (da cui il nome Romitorio del luogo) all’epoca della sua ricostruzione intorno al 1600.
Sono passati più di dieci anni da quando sono concluse le procedure per l’acquisizione completa del sito da parte dello Stato. La Soprintendenza ha preso in consegna la Villa con la restituzione delle chiavi al Ministero dei Beni Culturali.
Il grande interesse storico culturale del Romitorio, il sito dove sorge l’abitazione moderna, è dovuto al fatto che nella villa sono presenti testimonianze archeologiche assai rilevanti dell’antica Nomentum. Un muro di tufo, una vasca rettangolare e un pozzo, una tomba e i resti della base di una torre quadrata, un ampio tratto di cinta muraria con un basamento formato da grandi blocchi di travertino. Un complesso di testimonianze che danno problematiche risposte e dubbiose certezze sul popolo che ha abitato l’area in età antecedente alla fondazione di Roma. L’individuazione dell’antica Nomentum, anche se indecifrabile l’appartenenza della città ad origine latina o sabina perché posta proprio in zona di confine, appare oramai un dato assodato.
D’altra parte le testimonianze aprono a ulteriori ricerche analitiche degli storici per capire come mai le mura non comprendevano i confini della città bensì un luogo sacro e di culto per gli abitanti.
Ma a rendere particolarmente affascinante lo studio delle potenzialità presenti nel giardino della villa c’è la tomba a camera denominata Tomba del Romitorio.
Ce n’è abbastanza per prendere possesso dell’area con la massima attenzione.
Eppure il percorso di recupero è stato irto di difficoltà e di lungaggini burocratiche.
Uno degli elementi di maggiore interesse dell’intero scrigno di ricchezza di sapere sugli usi e costumi sociali antichi consiste curiosamente nel raffronto con alcune tombe a camera rinvenute a Paestum e Populonia. Da questo termine di paragone si azzarda una datazione di fine V secolo a.C.
Nell’88 la Soprintendenza pone il vincolo archeologico con un decreto, ma il primo sigillo della tutela pubblica del bene risale addirittura al ‘73.
Da allora sulla presa in consegna si erano attivate tutte le amministrazioni pubbliche interessate e competenti, in ultimo l’ex-ministro dei Beni Culturali Walter Veltroni e il deputato Vittorio Messa.
Di amena architettura invece la costruzione ben evidente della villa chiamata Dominedò dal cognome della famiglia originariamente proprietaria dell’immobile. L’origine di questa più vezzosa tenuta risale a poco prima degli anni ‘50. Per realizzarla, viene indicato dagli atti della Sovrintendenza la probabile distruzione dei ruderi di una chiesetta che sicuramente avrebbe fornito maggiore interesse al sito archeologico.
Si tratta della basilica dei santi Primo e Feliciano, fino al Seicento in stato di perfetta funzionalità.
Si trovava sul lato ovest della villa. Con la liquidazione di 460 milioni di lire il 4 dicembre del ‘96 il Ministero dei Beni Culturali blocca la compravendita privata della villa ed esercita così il diritto di prelazione sull’immobile di grande prestigio archeologico.
L’ovvia resistenza dei proprietari, la famiglia Dominedò, tramontata anch’essa, si è infine piegata all’intervento della mano pubblica. Aveva in pugno però un argomento assai convincente, la modica somma di 460milioni, la stessa per la quale sarebbe stata venduta a degli incauti acquirenti.